All’appuntamento elettorale del
25 maggio mancano solo sei settimane. Davvero uno spazio di tempo irrisorio se
si considera la complessità, e l’importanza, delle diverse poste in gioco:
rinnovare una moltitudine di amministrazioni locali - e qualche Regione, come
il Piemonte – stabilendo un più solido rapporto di fiducia con i cittadini;
sconfiggere le tendenze populistiche ed euroscettiche che serpeggiano per
l’Italia e l’intero continente, affermando il ruolo della sinistra come capofila
di un nuovo progetto europeo, all’altezza delle sfide economiche, sociali ed
ambientali del mondo contemporaneo.
Il tutto avviene – come tutti
sanno – in un passaggio dei più originali e dei più imprevedibili della storia
politica nazionale. Si può molto discutere su cosa e come è vorticosamente successo
nel PD, nel Parlamento e nel governo del paese nel corso degli ultimissimi
mesi. E, infatti, se ne è dissertato – e se ne disserta – all’infinito.
Ma nessuno può negare che un
esperimento di innovazione è in corso. Per formazione, ed età, io faccio una
fatica enorme a capire e condividere il segno di questo cambiamento. Potrei
dire che, fra me e l’attuale leadership del PD, ed ora anche del governo, esiste quasi una diversità antropologica.
Quello che però non accetto, e non sopporto, è che – magari qualcuno con la mia
età e formazione – contrasti, fino al punto di minacciarne il completamento, i
progetti riformatori che si stanno promuovendo. Per quanto contraddittori essi
possano risultare, dal loro avanzamento può aprirsi una fase nuova nel deteriorato rapporto fra la sinistra e i
cittadini. Avanzamento che – appunto –
può e deve trovare una misurazione nel voto di maggio.
Bisogna però sapere che anche
l’auspicato, e probabile, successo elettorale del PD non risolverà il problema,
ormai più che ventennale, della crisi della democrazia: la personalizzazione
spinta e lo svuotamento della funzione dei partiti, anche della sinistra.
Per questo, ci vuole un lavoro di
lunga lena. Una sperimentazione consapevole e rigorosa di nuove forme di
partecipazione. E, insieme, una attiva e
mirata comunicazione con nuovi soggetti
sociali, come ad esempio l’infinito arcipelago dei moderni lavori ad elevato
contenuto di conoscenza. Così come un rapporto costante con i movimenti, le
forme di auto-organizzazione della società
Un discorso astratto? Forse. Ma,
guardando ad alcune esperienze locali avviate in questi mesi in vista del voto
amministrativo, c’è forse da nutrire un po’ di ottimismo. Non ovunque, a dire
il vero. Ma da qualche parte sì, come a Vaglia, nel nostro Comune. Dove le primarie
hanno conosciuto un’alta partecipazione. E dove si è iniziato a mettere alla
prova quel metodo aperto a cui ho accennato.
Ora, però, bisogna stringere, in
una più intensa collaborazione fra candidato sindaco e partito. Definire
conclusivamente, e coerentemente, un programma realistico ma sorretto da una
visione strategica. Che inserisca questo “piccolo” Comune nella nuova, “grande”, Città Metropolitana, come parte attiva e non subalterna. Calibrare le liste,
nel contesto della coalizione, in modo da
assicurare un rapporto vivo e dialettico fra Sindaco, Giunta e
Consiglio. Precisare i luoghi e gli strumenti per assicurare una costante
relazione politica con i cittadini in ordine all’attuazione ed al periodico
aggiornamento del programma di governo.
Su questi obbiettivi di lavoro
ognuno è chiamato a dare il proprio contributo.
Guido Sacconi
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